Studenti di ieri, studenti di oggi

Non c'è niente di più fuorviante, a parer mio, che paragonare le proteste che oggi dilagano per le strade con quelle di ieri. 

Ieri, con Paolo Pietrangeli, si cantava così:


Il primo marzo, sì, me lo rammento,
saremo stati millecinquecento 
e caricava giù la polizia 
ma gli studenti la cacciavan via. 
«No alla scuola dei padroni! 
Via il governo, dimissioni!». 



E mi guardavi tu con occhi stanchi, 
ma c'eran cose molto più importanti;
ma qui che fai, ma vattene un po' via!
Non vedi, arriva giù la polizia! 
«No alla scuola dei padroni! 
Via il governo, dimissioni!». 

 Le camionette, i celerini 
 ci hanno dispersi, presi in molti e poi  picchiati;  
 ma sia ben chiaro che si sapeva; 
 che non è vero, no, non è finita là. 
 Non siam scappati più, non siam scappati più. 

Il primo marzo, sì, me lo rammento... 
...No alla classe dei padroni, 
non mettiamo condizioni, no!


Erano gli anni del boom economico e l'onda della protesta, a torto o a ragione, conteneva uno slancio ottimistico e libertario verso il futuro e l'utopia. Che poi quel futuro, quell'utopia, siano stati traditi dai protagonisti dei plumbei decenni successivi, fino a oggi,  è un'altra storia. 

Oggi, questi studenti, questi ricercatori, questi giovani che l'ineffabile Gelmini ammonisce con il ditino alzato e con la sua aria da maestrina saputella (lei che in base a quegli stessi criteri di meritocrazia che va sbandierando, con il suo mediocre voto di laurea e la sua abilitazione avventurosamente conquistata, non dovrebbe certo stare lì dove sta), ripetendo come un disco rotto la sua lamentela contro una pretestuosa strumentalizzazione, come se si rivolgesse a imberbi ragazzini un po' sciocchi, invece che a ricercatori e dottorandi qualificati  in grado benissimo di leggere e interpretare le implicazioni e le conseguenze di questa "riforma deforme", si ribellano ad un futuro grigio di precarietà e incertezza.

Il Governo mostra la sua faccia violenta. La militarizzazione di Roma, contro la quale gli stessi commercianti del centro hanno protestato, il tentativo di impedire la voce del dissenso e della protesta, l'arroganza di chi si rifiuta di ascoltare in nome di interessi che con la difesa e la promozione della conoscenza non hanno nulla a che fare, ci dicono che la situazione sta velocemente arrivando a un punto di non ritorno. 

Chi protesta lo fa non solo contro la riforma Gelmini: lo fa soprattutto perché si sente scippato del suo domani. L'esasperazione che nasce dalla frustrazione è qualcosa che non ha a che fare con lo slancio rivoluzionario: nasce piuttosto dalla paura, dall'insicurezza, dalla percezione di essere in trappola.

La Camera dei Deputati, in questi momenti, si appresta a votare. Una classe politica delegittimata dalla corruzione, dai giochi di potere, dalla pratica costante dell'illegalità, dall'incompetenza, dal pressapochismo demagogico, gioca con il destino dei nostri figli. E lo fa con un'ipocrisia e un disprezzo che lasciano basiti. Mi chiedo che cosa ci voglia, ancora, per capire che così non è possibile andare avanti. E per trovare il coraggio di un gesto risolutivo, senza tatticismi, senza inutili distinguo, senza opacità e compromessi, che riaccenda la speranza e apra nuovamente la porta del futuro a questa generazione. 

Una donna speciale

Un anno fa, il 25 novembre 2009, moriva mia madre. 

Cara mamma,
vorrei salutarti per l’ultima volta, possibilmente senza inutili concessioni alla retorica e alle frasi fatte,  tutte cose che non ti sarebbero piaciute, ma a modo mio, a modo nostro. Il rapporto che ci ha unito nel corso degli anni non è stato dei più semplici: quante baruffe, quante discussioni, quante incomprensioni, piccole e grandi.  Credo che sia inevitabile, soprattutto fra madre e figlia. E tuttavia mi rammento una cosa che ebbi a scrivere una volta, in un tema scolastico, quando avevo più o meno quattordici anni: sebbene molte delle mie contraddizioni abbiano la loro radice in questo complicato legame,  è vero che allo stesso tempo tu stessa mi ha dato la chiave per uscirne e mi hai indicato la strada per diventare quello che sono adesso.

Sopra ogni altra cosa: io sono un’insegnante, come te.  E so già che mi mancheranno soprattutto le nostre conversazioni sulla scuola, i racconti che ti facevo sui miei ragazzi, sugli episodi piccoli e grandi che mi capitavano in classe, i fatti divertenti, le faccende che mi facevano arrabbiare, le conversazioni con i genitori o con i colleghi. Quando, un paio di anni fa, ti feci vedere il filmato che avevamo realizzato per l’orientamento scolastico,  un piccolo tentativo di spot pro liceo, girato nelle aule e fra i ragazzi, alla fine, commossa, mi ringraziasti: “Mi hai fatto sentire l’odore della scuola. Quanto mi manca!” mi dicesti.

Accidenti, mamma, che maestra sei stata. Io lo so che cosa ti rendeva speciale: l’interesse sincero per i tuoi alunni, ciascuno nella sua unicità, nel suo essere persona. Tu facevi sentire speciale ogni bambino, anche quando le classi erano numerose: riuscivi sempre a tirar fuori da tutti i loro particolari talenti. Dire che hai inteso l’insegnamento come una missione è riduttivo. Si è trattato piuttosto di una passione, di quelle vere, quelle che danno senso ad un’intera esistenza. Il tuo era entusiasmo. Tu ti divertivi a insegnare, e se anche in classe facevi fatica, come tutti, questa fatica non ti pesava. Vallo a spiegare ai pedagogisti e ai tecnici dell’educazione, quelli che ti bombardano con belle teorie e luoghi comuni, tanto roboanti quanto vuoti. Se non c’è questa gioia, questa voglia di stare in un’aula in mezzo a trenta ragazzini chiassosi  che ti fanno dannare ma che, per ogni progresso fatto,  ti ripagano con gli interessi dello sforzo, non c’è metodologia innovativa, sussidio didattico, sperimentazione che tengano.  E allora, ricordi? Il mitico giornalino “Il Galletto”, che ha annoverato fra i suoi redattori generazioni di piccoli giornalisti in erba, le recite, le festicciole, le piccole e grandi trovate per rendere vivo l’insegnamento,  la tua capacità di metterti in gioco sempre, la tua volontà fiera di valorizzare i più capaci ma anche, sempre, di aiutare e sostenere i più deboli e svantaggiati, di non lasciare nessuno indietro. Bene, anch’io sono stata tua alunna, non solo alle elementari, ma anche in seguito, fino a questo momento: e spero di essere all’altezza dell’esempio che mi hai dato.

E poi, la politica.  So bene che tu, fino in fondo donna di destra,  ex ragazza di Salò che mai ha rinnegato il suo passato, sei stata fieramente avversa alle mie scelte, ma alla fine non importa. Nel salotto di casa, campeggia il poster con la famosa frase di Ezra Pound: “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono niente, o non vale niente lui”.  Tu sei sempre rimasta fedele a questo principio e me lo hai ben inculcato. Sempre parlare chiaro, mai cedere ai compromessi, sempre fedele alle proprie idee, senza viltà, senza aggiustamenti, senza esitazioni.  Tutti, amici e avversari, ti hanno rispettato per questo, soprattutto per questo. Sono virtù rare, tanto più oggi. Ma anche questo mi hai insegnato:  che la coerenza, l’intransigenza rispetto ai propri valori, sono l’unico strumento per sentirsi davvero a posto con se stessi. Tutto il resto è chiacchiera, vacuo opportunismo, sciocca vanità.

Sono molte, troppe le cose per le quali devo ringraziarti: non ultima la passione per i libri, per la letteratura, per la poesia. Non mi hai mai imposto nulla ma, sin da quando ero piccolissima, non mi hai fatto mancare le pagine nelle quali ritrovare me stessa. Mi hai insegnato a leggere, mi hai insegnato a scrivere: cose elementari, cose fondamentali, le chiavi di un mondo inesauribile e generoso. Mi hai, soprattutto, insegnato a discutere,  a non arrendermi a nessun tipo di conformismo, compreso quello intellettuale, a restare vigile, attenta, a non dare nulla per scontato. Mamma, eri una gran rompiscatole e non è stato facile tenerti testa. Veramente non era facile per nessuno: non tolleravi ingiustizie, soprusi, pressapochismi e approssimazioni.  Le belle facciate non ti interessavano, lo snobismo ti faceva ridere: andavi al sodo, guardavi il cuore delle persone e non ti importava se chi avevi davanti era umile o importante,  povero o ricco, un anonimo signor nessuno o una supposta celebrità.
Eri una lottatrice: hai combattuto contro i tuoi malanni senza mai cedere, hai mantenuto autonomia, dignità, libertà anche se il fisico ti tradiva. Fino all’ultimo sei stata te stessa. Per tanti giorni, all’ospedale, ci siamo tenute per mano. Poi, l’ultima sera, al mio saluto hai risposto con un “ciao”.  Ti stavi congedando ed io non lo sapevo: nonostante quello che mi avevano detto i medici, non volevo saperlo. Ero convinta che li avresti fatti bugiardi – mica sapevano con chi avevano a che fare! -, che ancora una volta avresti vinto la tua battaglia. Non è andata così. E allora almeno qui, sebbene in ritardo, voglio rispondere a quel ciao, così, con leggerezza, come ti sarebbe piaciuto. Ciao mamma, ciao cara, straordinaria maestra. 

Quelle che precedono sono le parole che le scrissi allora. Le ho lette durante il funerale e qualche tempo dopo sono state pubblicate sulla rubrica delle lettere de "Il Tirreno": ho creduto che le avrebbe fatto piacere, considerando tutte le volte che le era capitato di prendere carta e penna per denunciare pubblicamente qualche sopruso. E non solo: spesso sulla cronaca locale, quando ancora insegnava, erano apparse le gesta dei "suoi" ragazzi … le recite, i premi vinti, il celebrato giornalino di classe.

Mamma, tu di blog non sapevi niente, ma non me ne vorrai se ti ricordo anche qui. E se anche qui ti ringrazio. 

Gli occhi tondi di Buttiglione

Questo

 non è un post particolarmente originale, se non altro perché il protagonista non è particolarmente originale. Buttiglione (e non solo lui, in verità) ci ha ormai abituato alle sue uscite poco felici e, soprattutto, poco argomentate. Voglio dire: uno la può pensare come crede, su famiglia, gay, testamento biologico etc etc. Buttiglione, lo sappiamo, è in linea con un certo genere di integralismo cattolico. Ma che almeno impari ad argomentare! Per essere un filosofo, i suoi ragionamenti possiedono una finezza e una pertinenza pari a quelle di uno studentello vagabondo. Per essere un cattolico, poi, la sua capacità di misericordia e di rispetto umano è praticamente pari a zero. Per essere un politico di spicco, infine, la sua buona educazione è assolutamente insoddisfacente.
Vedete, da un Bossi, da un Calderoli, persino da un Tremonti, per non parlare di Berlusconi, che ti vuoi aspettare? Non sono certo degli intellettuali, anzi: sono arrivati lì dove stanno proprio in virtù della loro manifesta, e conclamata, e vantata incultura nella quale i limiti di tanti nostri concittadini possono tranquillamente rispecchiarsi. Bossi e il suo dito medio, Berlusconi e le sue variegate performances di ogni genere e natura hanno finora (certo, ora la crisi morde) riscosso ovviamente la simpatia di un popolo com'è noto assai poco abituato alla lettura e al confronto critico. Non voglio fare l'antitaliana ad ogni costo: ma le cifre parlano chiaro. , la cultura dell'italiano è medio è drammaticamente sotto la media europea. 

E tuttavia …  Buttiglione, con il suo curriculum, come fa? Secondo voi, spara le sciocchezze che spara perché è convinto così di "parlare alla pancia" del popolo (cattolico)? Perché pensa di far felici i vescovi? Per tattica? C'è o ci fa? Con quell'aria dottorale, con quegli occhi tondi da chierichetto di buona famiglia … e poi, tonfa, un'esternazione dopo l'altra: e una più controproducente dell'altra anche per la sua causa, è questo il bello. Buttiglione è un ossimoro, una specie di idiot savant sui generis: uno che ti porta a pensare che sia meglio essere sanamente analfabeti piuttosto che pretestuosamente colti. A meno che non lo faccia apposta. 

Stamattina, giorno libero, seguivo su Rai 3 "Agorà".  Si parlava di testamento biologico. Presenti, naturalmente, Buttiglione e Cappato. Va in onda un bel servizio sul caso di Anna Busatto (ecco qui, dalle colonne del Messaggero, la storia: "E' in coma, il marito la porta a morire in Olanda"). La vicenda è affrontata con delicatezza, nel rispetto, mi è parso, del dolore e della dignità del marito di Anna Busatto, l'olandese Martin Van Der Bugt, che ha  ottemperato alle scelte della moglie, messe nero su bianco in un testamento biologico consapevolmente redatto dalla signora e periodicamente da lei rinnovato nel corso degli anni. Interviene per primo proprio Buttiglione. Guarda in camera con il suo sguardo teneramente infantile e con aria gentile esordisce: " Mi devo complimentare con voi per il bel servizio … ". Il conduttore, Andrea Vianello, tutto contento per l'apprezzamento rammenta il nome della giornalista autrice, ma Buttiglione, impietoso, con l'aria  furba di quello che pensa "ora ti gioco un bello scherzetto", prosegue: ".. un servizio che mi ha ricordato il filmato con il quale Hitler negli anni Trenta convinse i tedeschi a legittimare l'eutanasia". Uào: sobbalzano tutti, che colpo da maestro! Che espediente retorico! Come ti metto in difficoltà l'avversario! E ora come facciamo a rispondere a Buttiglione e alla sua sconfinata erudizione e alla sua astuzia argomentativa? Naturalmente il confronto non è nuovo e la citazione del film nazista circola già da un po' negli ambienti clericali. Che si confondano questioni diverse (eutanasia e rifiuto dell'accanimento terapeutico, libertà di scelta e soppressione obbligata di diversamente abili, vecchi, malati senza consenso) non importa: l'importante è il  supposto "colpo di teatro". Sconfortante.  Ti viene da pensare: ma a che serve discutere con gente così? 

Già, appunto. Eppure l'UDC è parecchio corteggiata, da destra e da sinistra, mentre i cattolici del costituendo "Terzo Polo" già mettono i paletti  preventivi  proprio sui temi etici. Va bene, mandiamo a casa Berlusconi, se ci riesce. Ma poi? Che paese rimetteremo in piedi? Un paese finalmente europeo, laico, moderno o un'appendice mal riuscita del Vaticano? Fra l'altro, ce la faremo a rottamare anche Buttiglione?

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Non è solo rottamazione

Che cosa porto via da Firenze dopo questa appassionante maratona  di idee e di emozioni alla Stazione Leopolda? Un foglio pieno di appunti disordinati, prima di tutto. E per ogni appunto, un contenuto, una proposta: sul lavoro, sul fisco, sulla cultura, sulla scuola, sulle pratiche della buona politica, sull'equità, sul merito, sulla leadership, sulle prospettive del PD, sulla solidarietà, sulla Costituzione …

Accanto agli appunti, i twit che via via lanciavo in Rete e che si traducevano in status su Facebook per la mia personale diretta: "Applausi a scena aperta quando in video appaiono Benigni e Berlinguer"; "Non ci sono solo pischelli giovani alla Leopolda ma tanta gente "adulta" che evidentemente si sente giovane di spirito"; "Parola d'ordine della Bonsanti: ribellione"; "Bonsanti: la Costituzione è giovane, è bella, è tutta da riscoprire"; "Standing ovation per Scalfarotto, trascinante come sempre"; "Quello che sta succedendo alla Leopolda non può essere né sminuito né dimenticato. Passione e desiderio di darsi da fare: dobbiamo buttarli via?"; "Intervento entusiasmante di Renzi. Se a queste parole non seguono i fatti … da Firenze, patria della bellezza, ci mettiamo in gioco". 

E ancora. Porto annotato sul mio foglietto qualche numero: 6800 partecipanti registrati; 25000 persone che hanno seguito in streaming l'evento. Porto nella memoria le facce e il commovente entusiasmo di tutti coloro che erano presenti. Porto qualche domanda: chi snobba chi? chi sono i veri maleducati? perché un politico intelligente come Bersani non ha raccolto la sfida e ha preferito non venire, qui, in mezzo ai tanti semplici militanti che chiedono davvero un passo nuovo, uno slancio diverso? un vero leader non dovrebbe mettersi in gioco, abbandonare la prudenza e dare, finalmente, qualche risposta netta? perché insistere offesi, banalizzando, sulla parola ad effetto usata da Renzi, "rottamazione", come se si trattasse solo di questione anagrafica, di ragazzini scalpitanti che vogliono aprirsi un varco a gomitate,  e non della pressante esigenza di cambiar strada alla svelta, uscendo dai tatticismi e dalle formulette polverose e pericolose (governo tecnico, apertura all'UDC, larghe intese, nuovo Ulivo etc etc) per offrire finalmente una proposta comprensibile e praticabile a quell'elettorato disperatamente in cerca di una reale alternativa? Perché non comprendere che qui non abita l'antipolitica ma, casomai, l'urgenza di una nuova politica, di una nuova speranza? 

Voglio essere chiara. Non è questione di Renzi o Civati o Scalfarotto o chiunque altro. Possono piacere o non piacere, convincere o meno. Quello che conta sono, ancora una volta, le persone: iscritti, simpatizzanti, dirigenti, amministratori, donne, uomini, ragazzi, che lì si sono ritrovati per esprimere il loro disagio, il loro entusiasmo, la loro esasperazione, la loro voglia di essere, finalmente, ascoltati, il ribollire delle loro idee e delle loro proposte, il desiderio di dibattito e discussione aperta, franca, senza finzioni. Quello che conta è la platea attenta che ha seguito ogni intervento con scrupolo e direi quasi con ansia, nella consapevolezza che perdere quest'occasione per rincorrere i vecchi  rituali stantii della politica nostrana potrebbe essere fatale.

Qualcuno dice: cinque minuti  a intervento sono pochi, non bastano ad uscire dai facili slogan, non ci sono contenuti, sono solo chiacchiere. Sarebbe vero, se non ci fosse stato, alle spalle di questo evento, il lavoro di un anno, e se questa tappa alla Leopolda fosse il traguardo, e non lo spunto indispensabile per una nuova partenza. Comunque di contenuti ne ho sentiti tanti: di certo più di quelli che usualmente si ascoltano negli snervanti e urlati talk show televisivi o nei dibattiti interni dove tutto, al solito, è già deciso, si parla, si parla, ma non si ascolta mai sul serio, perché non si vuole rischiare che qualcosa possa scalfire, ad ogni livello, il potere consolidato da anni, o da decenni, nelle mani di pochi. 

Infine: porto con me la certezza che comunicare diversamente, e meglio, è possibile. Mi sembrava quasi irreale, visto che si trattava di un evento "politico",  ma mai mi sono  annoiata, mai ho avuto la sensazione di perdere il mio tempo ascoltando il già ascoltato o vedendo il già visto. Inutile ironizzare sul duo Civati – Renzi alla consolle stile Gialappa's o meravigliarsi degli intermezzi in video (come non ricordare gli applausi spontanei quando è stata proiettata la scena finale di "Qualcuno volò sul nido del cuculo"?). Le parole si coniugavano alle immagini, le metafore cinematografiche davano ali alle idee, la Rete coinvolgeva anche chi forzatamente era distante. Il gong, che impietoso segnava la fine del tempo concesso a ciascun oratore, costringeva all'essenzialità, alla chiarezza, alla pertinenza, evitava le ripetizioni, le fumosità, le lungaggini inutili e fuorvianti. Sembra poco? E' moltissimo, specialmente se paragonato ai ritmi lenti e soporiferi della comunicazione politica abituale, al gergo politichese incomprensibile ai comuni mortali e alle chiacchiere in libertà degli imbonitori televisivi. 

Non mi nascondo che le incertezze sono molte e molti sono i dubbi. Se questa desiderio di rimettersi in gioco dovesse esaurirsi, se non si mantenessero le promesse e  e non si rispondesse concretamente alle aspettative suscitate, se si finisse per dare ragione agli scettici, ai diffidenti, ai delusi, se tutto fosse soltanto un pretesto per promuovere ambizioni di potere personale, la sconfitta non sarebbe solo di Renzi o di Civati ma di tutti coloro che, presenti in forze alla Stazione Leopolda,  vogliono credere ancora nell'impegno responsabile a favore della comunità, a favore della democrazia, a favore della "prossima Italia". 

Ci siamo lasciati con la promessa di tenerci in contatto, di continuare il lavoro intrapreso, di tradurre le parole – chiave individuate in questa tre giorni fiorentina in proposte, campagne, idee di cui ciascuno possa farsi interprete e promotore nella sua realtà. I buoni propositi sono scritti, nero su bianco, qui  . A questo punto c'è bisogno soltanto (soltanto?) di tenere alta la guardia, di "andare oltre", di fare il difficile passo per uscire dalla palude. Noi. Insieme. Con la nostra incazzatura. Con la nostra speranza. Con la nostra irrimediabile, immedicabile, "nostalgia del futuro". 

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Prossima fermata, Italia. Speriamo

Domenica andrò a Firenze per assistere all'ultima giornata della cosiddetta "convention dei rottamatori", a cura di Civati e Renzi, Ci vado con qualche dubbio, un po' di speranza e una certezza. La certezza è questa: un po' ovunque c'è un grande, grandissimo desiderio di cambiare passo, di svoltare, in una parola di cambiamento. Siamo tutti, e non è questione di età anagrafica (checché se ne dica), stufi marci di questa Italia vecchia, arretrata, ingessata nella sua meschinità, nei suoi pregiudizi, nelle sue paure, nei suoi riti polverosi, nella sua arretratezza culturale e materiale. L'occasione di Firenze può essere preziosa per mettere in moto l'energia che si accompagna a questa insofferenza, un'energia che fino a questo momento non ha trovato sponda e ha finito troppo spesso per ripiegarsi su se stessa, nelle secche della frustrazione e della disillusione. 

Allo stesso tempo so bene che l'entusiasmo fa presto a spegnersi (quante volte è già successo?) e i cambiamenti sono faticosi. Per un verso o per l'altro sembra che in molti siano convinti che basti trovare un paio di facce nuove dotate di un nuovo e più vivace carisma perché magicamente le contraddizioni si sanino e d'un botto salti fuori il migliore dei mondi possibili dove tutti vivremo felici e contenti. "Prossima fermata, Italia" è un inizio: ma, appunto, è "solo" un inizio. Da qualche parte bisogna pure cominciare, naturalmente. L'importante è che poi si vada avanti, tutti insieme, e che l'impegno sia condiviso, nella consapevolezza che le difficoltà sono tante e non sarà per niente facile semplice superare l'impasse. 

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